spannolinamento-bambini

Se ti stai preparando per lo spannolinamento del tuo piccolo o sei nel mezzo di questa importante fase, questo è l’articolo giusto per te. In linea generale due anni è l’età minima, il metodo deve essere decisivo e senza ripensamenti, il periodo deve essere tranquillo per dedicare tutta l’energia a questo cambiamento. I dettagli sono vari e li spiego nel corso dell’articolo.

Per dare un po’ di contesto, lo spannolinamento è una delle tappe che fa tanta paura ai genitori, viene vissuto solitamente come periodo frustrante perché sembra che, dopo tantissimi tentativi il bambino non impari mai come si fa la pipì non avendo più il panno. È estremamente importante che questo periodo venga vissuto dal genitore con serenità, proprio per trasmettere questo stato d’animo positivo al bambino.

Quindi in questo articolo rispondo alle domande ricorrenti dei genitori e svelo i segreti per mettere da parte il panno per sempre.

Ecco le domande più frequenti dei genitori:

1 Quanto tempo occorre per abbandonare il pannolino?

Il tempo necessario per abbandonare il pannolino varia da bambino a bambino, perché ogni bambino è diverso dall’altro. Diciamo che in linea di massima occorrono circa due settimane. Questo tempo dipende anche dall’età del bambino, nel senso che per essere pronto a togliere il panno egli deve aver compiuto due anni/ due anni e mezzo. Alcuni genitori mi contattano perché non riescono a gestire questo periodo delicato, sono stressati e sull’orlo di un esaurimento. Durante la consulenza scopro che il bambino ha soltanto un anno e mezzo d’età! Ecco spiegato il motivo dell’insuccesso. Quindi, che cosa si può pretendere da un bambino piccolissimo se a livello fisiologico non ha ancora raggiunto il controllo dei muscoli sfinterici?

2 Come devo gestire il processo dello spannolinamento?

Il processo dello spannolinamento è molto delicato e non va preso sottogamba. Si tratta di un cambiamento che coinvolge le sfere dell’autonomia e dell’autostima, quindi si deve fare attenzione a procedere nel modo giusto, senza causare traumi nel bambino.

Alcuni genitori preferiscono togliere il panno gradualmente, cioè tolgono il panno di giorno e la notte lo rimettono. L’ovvia conseguenza è che il bambino impara a fare i bisogni nel vasino il giorno e invece, sapendo che la notte c’è il panno si può “lasciare andare” totalmente. Agendo in questo modo il genitore si trova costretto a fare usare al bambino il pannolino di notte fino ai 3-4 anni. Questo metodo graduale crea nel bambino confusione: togli/rimetti, togli/rimetti il panno.

Ciò che consiglio, invece, è abbandonare il pannolino una volta per tutte. Quindi, oggi si toglie il panno e il bambino non lo rivedrà mai più. Sicuramente agendo in questo modo si verificano più incidenti (pipì a letto quasi tutti i giorni), ma ci si mette meno tempo perché il bambino si abitua prima e soprattutto non è confuso.

3 Come mi devo comportare se il bambino non vuole imparare a fare i bisogni nel vasino o nel riduttore?

Ciò che dico sempre ai genitori è scegliere un periodo tranquillo per poter affrontare al meglio questo cambiamento che, per forza di cose, coinvolge tutta la famiglia. Ti consiglio di impiegare tutte le tue energie per questa fase. Quindi, niente stress causati dal lavoro, niente traslochi o ancora peggio praticare lo spannolinamento in concomitanza con l’arrivo di un fratellino o dell’ingresso al nido. L’atteggiamento dei genitori è fondamentale. Bisogna armarsi di tanta pazienza ed evitare le arrabbiature. Parecchi genitori mi hanno confessato che il periodo dello spannolinamento è stato uno dei periodi più difficili per loro durante l’infanzia dei figli. Oltre alle arrabbiature e alle sgridate sarebbe bene evitare anche di colpevolizzare il bambino quando non riesce a trattenere la pipì e non la fa nel vasino. Parti dal presupposto che il bambino non si comporta in questo modo volontariamente. Evita anche di forzare i tempi; è vero che non vedi l’ora di uscire da questo periodo di stress fatto di pavimenti bagnati, vestiti sporchi, lenzuola da cambiare continuamente ma, come ti ho già spiegato, ogni bambino ha uno sviluppo individuale che va rispettato.

Allora, come comportarsi?

1 invita il tuo bambino molto dolcemente ad usare il vasino o il riduttore

2 chiedigli di comunicarti sempre quando ha voglia di fare la pipì

3 accompagna il bambino in bagno oppure invitalo ad usare il vasino prima di andare a letto

4 prova a favorire l’utilizzo del vasino o del riduttore attraverso la proposta di libretti cartonati che può sfogliare in modo divertente mentre è seduto. Così, questo momento non sarà vissuto come una pena ma sarà percepito come un momento rilassante.

5 altro accorgimento importante è quello di procedere con lo spannolinamento in periodi favorevoli come la primavera o ancora meglio l’estate. In queste stagioni è più facile gestire gli inevitabili indumenti bagnati e la pipì a letto. In ogni caso, munisciti di tanti cambi e, per salvaguardare il letto, utilizza traversine o lenzuolini proteggi-pipì.

Poi, da un giorno all’altro, arriva quel momento tanto atteso. Il tuo bambino finalmente acquista l’autonomia che speravi e passa dal pannolino al riduttore o al vasino.

Ora, metti in pratica questi consigli e ricordati di raccontarmi la tua esperienza!

Immagine per gentile concessione di Martina Ortu.

polly e il lupo tontolone

Quale libro scegliere per invogliare tuo figlio al successo e per fargli credere nelle sue potenzialità?

Ti propongo questo libro che racconta in maniera divertente la storia di una bambina che ha sempre la meglio su un lupo che vuole mangiarla. Ad essere sincera, non è stato amore a prima vista tanto che inizialmente è stato ignorato da mia figlia. Le è stato regalato per il compleanno a settembre ed è rimasto nella libreria di casa per mesi, fino a che un giorno di marzo ho provato a riproporglielo leggendole la prima vicenda. Ci ha messo un pochino per decidersi ma poi, dopo la prima pagina, è stata rapita dal ritmo incalzante del libro.

Perchè dovresti proporre Polly e il lupo tontolone a tuo figlio

La storia riprende alcune scene e personaggi di fiabe tradizionali che il bambino già conosce. L’elemento novità, però, è il modo di agire della protagonista che si mostra furba e scaltra e riesce in ogni occasione a sfuggire al lupo, animale che viene presentato come tontolone. La forza del libro è rappresentata dai dialoghi tra i due personaggi. Il bambino viene coinvolto dai botta e risposta dei due personaggi e non vede l’ora di sapere come andrà a finire. Il libro può essere letto in autonomia dal bambino a partire dai sette anni.

La protagonista, per i bambini un modello da imitare

Catherine Storr, l’autrice del libro, fa interpretare a Polly il personaggio della bambina intelligente e coraggiosa che riesce a vincere la cattiveria del lupo in ogni vicenda. Il bambino, capitolo per capitolo, si domanda non tanto quale piano metterà in atto il lupo per poter mangiare la bambina, ma si chiede soprattutto che cosa escogiterà Polly per poter lasciare il lupo a bocca asciutta. Gli altri personaggi del libro sono marginali, compaiono ma non fanno mai niente per aiutare Polly a sopravvivere e a prendere in giro il lupo. La bambina si ritrova sempre sola a doverlo fronteggiare, ma forse la sensazione che vuole trasmettere l’autrice è che Polly non è sola, ma in compagnia di tutte le sue risorse che l’aiuteranno a far sentire il lupo tontolone in ogni sua azione. Il libro trasmette al bambino un messaggio potente, che ce la può fare a superare le difficoltà in qualsiasi situazione.

La paura che si trasforma in rassicurazione

In realtà il tema principale del libro dovrebbe essere quello della paura della bambina, però Polly non sembra poi così preoccupata dalla presenza ossessionante del lupo, perché crede nelle sue potenzialità e sa, in cuor suo, che troverà la soluzione per tutte le situazioni che si presenteranno. Quindi anche il piccolo lettore è confortato, perché dopo aver letto il lieto fine della prima storia, capisce che le vicende si concluderanno sempre a favore di Polly e sempre in modo positivo.

Immagine per gentile concessione di Martina Ortu.

disturbi del comportamento alimentare

Questo articolo tratta dell’anoressia e della bulimia, due disturbi che
colpiscono soprattutto i giovanissimi e che quindi ogni genitore dovrebbe conoscere e
ancora meglio riconoscere.

Entrambe riguardano il comportamento alimentare e il trattamento consiste in una
psicoterapia comportamentale associata sempre alla rieducazione alimentare.
Generalmente sono coinvolte diverse figure professionali ed è fondamentale il ruolo dell’educatore
nelle attività di gruppo.

Quali sono i meccanismi che fanno scattare la molla? Che influenza
hanno i social media? Cosa sente una persona affetta da bulimia o anoressia? Come
noi genitori possiamo prevenire questi disturbi?

Di seguito troverai le risposte a queste domande frequenti ma per niente banali,
inoltre a fine articolo sono elencati i 10 principali sintomi che possono mettere in
allarme i genitori e gli insegnanti.

I disturbi del comportamento alimentare

Tra i disturbi del comportamento alimentare compaiono l’anoressia e la bulimia.
L’anoressia è un disturbo contraddistinto dal rigido controllo del cibo e dalla
modificazione dell’alimentazione fino ad arrivare in certi casi al rifiuto totale del
cibo. Non mangiare e allo stesso tempo perdere peso è deleterio per il corpo di una
persona e soprattutto di un adolescente che sta crescendo.
La bulimia è un disturbo caratterizzato da grandi abbuffate compulsive alle quali
seguono i sensi di colpa che portano ad espellere il cibo ingurgitato in eccesso. Come
si fa ad eliminare dal proprio corpo questo cibo? La strada più frequente è il vomito
autoindotto
, poi ci sono persone che fanno abuso di lassativi e farmaci diuretici.

Le caratteristiche dell’anoressia e della bulimia

L’anoressia e la bulimia colpiscono maggiormente le adolescenti, mentre la
percentuale del sesso maschile (anche se in aumento) è nettamente inferiore.
L’anoressia e la bulimia possono colpire ragazze di tutte le classi sociali, ma sembra che questi disturbi
alimentari siano più frequenti nelle classi sociali più ricche. Ragazze apparentemente
perfette, belle, ben vestite e ben curate, apprezzate dai coetanei possono nascondere
un dramma. I gruppi più interessati a questi disturbi sono quelli sportivi dove c’è
quasi un’ossessione per la linea, come le ballerine e le atlete di ginnastica ritmica e
artistica. Sono frequentemente a rischio anche le adolescenti che iniziano una
carriera nella moda.

Il ruolo dei media nei disturbi alimentari

Anche la televisione sembra che faccia la propria parte. Purtroppo in televisione è
raro vedere persone sovrappeso o esteticamente “normali”. La TV trasmette
immagini di donne bellissime e particolarmente sexy come presentatrici, attrici,
modelle. Tutte donne scheletriche e quasi sempre ritoccate dalla chirurgia estetica.
Nel periodo delicato dell’adolescenza molte ragazze tendono ad identificarsi con
questi modelli di eccessiva magrezza e di perfezione.
I social network ormai sono completamente integrati nella vita quotidiana e contribuiscono ad influenzare l’immagine corporea dei giovani
che sono vulnerabili e sensibili al giudizio degli altri. La preoccupazione per il giudizio degli altri e la possibilità di non piacere a tutti spiega perché nei social network gli adolescenti vogliono apparire perfetti a tutti i costi facendo “le gare”
con il gruppo dei pari a chi riceve più commenti o più like. Per ottenere i
complimenti della cerchia di amici, gli adolescenti spesso ricorrono a filtri
modificando le foto e i video.
Vista la portata del problema riguardo alla correlazione tra disturbi alimentari e
media, è importante sensibilizzare gli adolescenti attraverso il dibattito critico su questi strumenti sia in famiglia che a scuola.

Perché le adolescenti si ammalano?

Perché non riescono a vedersi “magre”, sono sempre insoddisfatte del proprio corpo e
così si costruiscono nel tempo un’immagine negativa. Secondo l’ABA (Associazione
Anoressia Bulimia), queste ragazze si guardano allo specchio e vedono
un’immagine diversa e sbagliata da quella
reale. Hanno il terrore di
ingrassare
e di conseguenza hanno timore di non sentirsi accettate dagli altri. Non è
possibile discutere e far capire loro che si stanno facendo del male e che sono
bellissime così, è tutto inutile perché la percezione che hanno di se stesse è
completamente distorta. Stiamo infatti parlando di disturbi psichici, tanto che
questi disturbi sono inseriti nel DSM (Manuale diagnostico e statistico dei
disturbi mentali).

Come prevenire i disturbi alimentari?

Per prevenire i disturbi alimentari è necessario che il genitore si impegni per eliminare i fattori di rischio e scatenanti ma anche lavorare per evitare che essi si manifestino.
Tra i fattori di rischio sono determinanti la bassa autostima, le delusioni durante l’adolescenza (perdita di un amore, di un amico, lutto di una persona di riferimento, cambio di casa, esperienza di abuso sessuale), controllo patologico di ogni aspetto della vita, le trasformazioni fisiche della pubertà, l’insoddisfazione per l’immagine corporea, l’inizio di una dieta. Per evitare che si manifestino i fattori di rischio o che alcuni eventi possano scatenare la comparsa dei disturbi, bisogna concentrarsi sulla prevenzione, che si concretizza nel fare in modo di aumentare l’autostima, aumentare le competenze sociali (capacità comunicative, capacità di fare amicizie e coltivarle nel tempo), far emergere le sue risorse, fare in modo che si costruisca “una corazza” per le eventuali delusioni.

Per farci un’idea di come pensa una ragazza colpita da questo disturbo ti propongo uno stralcio significativo di un libro di Fabiola De Clercq che ha vissuto il dramma dell’anoressia:
“A tavola sento una finta indifferenza riguardo alla mia modalità di nutrimento e questo mi umilia terribilmente, ma non ho altre possibilità di gestire la mia condizione. Appena finito di mangiare,
incomincio ad assaggiare tutto quello che resta e, mentre aiuto a sparecchiare, continuo ad ingurgitare ogni sorta di cibo. Il cuore batte forte, incomincia l’angoscia di dover rimettere senza essere vista o sentita, tanto più che dopo pranzo tutti andranno a riposare e il silenzio sarà
totale… Nuoto tutti i giorni per ore, visto che non ho con me una bilancia che possa segnalare un eventuale aumento di peso. Le solite considerazioni sulla mia magrezza non hanno il potere di di convincermi
che sto dimagrendo ancora, sono sempre certa che si tratti di una tattica escogitata dagli altri per stimolarmi a mangiare”

testo tratto da “Tutto il pane del mondo” di Fabiola De Clercq, Sansoni, Firenze

In questa infografica sono indicati i 10 sintomi fisici più comuni che si possono verificare in un adolescente colpito da questi disturbi:

Immagine per gentile concessione di Martina Ortu.

musica-bambini

La musica nei bambini é importante, infatti è rilassante e mette di buonumore, stimola la comunicazione, inoltre é associata alla matematica e allo sviluppo verbale.

I genitori hanno un ruolo fondamentale nella riuscita dei sogni dei propri figli. Se papà e mamma incoraggiano i bambini, pensando che i figli siano portati per quel tipo di attività, sicuramente i figli riusciranno ad ottenere buoni risultati. Ci sono genitori che sono convinti che nella vita dei bambini la musica debba essere inserita gradualmente, inizialmente attraverso il gioco e tramite attività che risultano piacevoli per i piccoli. Per questo motivo, si attivano fin da subito arricchendo la vita dei piccoli con giochi musicali, con l’ascolto di melodie rilassanti, e con la presenza a casa di vari strumenti musicali.

Ecco qui di seguito quali sono i più importanti benefici della musica

1 La musica mette di buonumore

Quando si dice che la musica migliora la qualità della vita è proprio vero! Ascoltare la musica o produrla agevola la percezione delle emozioni, se associata ai balli è divertente e soprattutto è utile perché rafforza la cultura degli individui che la praticano.

Come accade negli adulti, anche nei bambini si innesca una sorta di piacere nella ripetizione della musica o della canzone preferita. La musica, come sostiene la psicologa M. Chiara Levorato, è bella anche perché i bambini possono ascoltarla e riascoltarla più volte senza stancarsi, perché ad ogni ascolto la musica suscita emozioni sempre diverse.

2 La musica ha una funzione rilassante

La musica che fa rilassare maggiormente è sicuramente quella classica e tra tutti i compositori è da preferire Mozart. Sembra, infatti, che la musica di Mozart risulti particolarmente rilassante, per questo si consiglia di ascoltare tale musica già dalla gravidanza e poi proseguire quando il bambino è neonato.

3 La musica facilita la comunicazione e la relazione

Quante amicizie saranno nate grazie alla musica! Quanti bambini e adolescenti la musica è riuscita a far riunire! Pensa anche al canto con la chitarra in un gruppo di adolescenti. La musica ha una funzione aggregante e questo rappresenta il modo migliore per far socializzare gli individui. E aggiungo, che il canto con lo strumento, non ha solo un’utilità per la socializzazione ma ha anche un valore educativo. Infatti, quasi sempre, la musica trasmette un’infinità di messaggi educativi come i messaggi di pace, di amicizia, di amore e di solidarietà. Questi valori positivi trasmessi dalla musica sono gli stessi di cui parla Baden Powell, fondatore dello scautismo. Non a caso la musica rappresenta un elemento chiave nella pedagogia scout.

4 La musica favorisce l’apprendimento della matematica

Già i filosofi antichi avevano scoperto un legame tra la musica e la matematica o meglio: la musica è matematica! Alcuni studi più attuali dell’Università di British Columbia hanno dimostrato che chi impara a suonare uno strumento musicale presenta una facilità maggiore nel ragionamento e nell’apprendere la matematica. Molti insegnanti hanno capito l’importanza dell’associazione tra le due discipline e stanno proponendo nelle scuole un approccio didattico sempre più multidisciplinare. Tra le proposte spiccano quei giochi con la musica e laboratori musicali appositamente studiati per favorire l’apprendimento dell’aritmetica.

5 La musica agevola lo sviluppo verbale

Abbiamo detto che la musica favorisce l’apprendimento della matematica, ma i suoi benefici non finiscono qui. Secondo alcuni studi delle Università di Pechino e di Boston, esisterebbe un collegamento fra musica e linguaggio, infatti si dice che il linguaggio musicale sia simile a quello verbale. Sembra che i suoni siano collegati alle parole e che quindi chi ha ricevuto lezioni di musica sia avvantaggiato nell’elaborazione dei suoni, riesca a discriminare le parole e abbia maggiore facilità nella comprensione dei testi scritti.

Per fare in modo che i bambini amino la musica è fondamentale proporre l’ascolto fin dalla tenera età, sia a casa che all’asilo, poi invogliarli a suonare qualche strumento.

Possiamo notare che la musica, intesa come suono, è sempre presente nell’ambiente, infatti i bambini possono creare la musica sia con il corpo, utilizzando le mani, i piedi, la voce, sia con mezzi che si trovano a portata di mano come oggetti, barattoli, pentole. Inizialmente, per familiarizzare con gli strumenti musicali, possiamo regalare ai nostri piccoli strumenti giocattolo come chitarre, tamburelli, pianole. Si può anche stimolare la creatività dei bimbi anche proponendo di creare degli strumenti fai da te.

Quando i bambini cresceranno potranno sviluppare i loro gusti personali, quindi sceglieranno se ascoltare musica classica, musica leggera, rock o altro. In base alle loro preferenze decideranno se e quale strumento musicale suonare. Ciò che importa è stimolarli all’ascolto e alla produzione della musica fin da piccoli.

Immagine per gentile concessione di Stefania Scano.

valori-figlio

I valori sono tra le caratteristiche che trasmettiamo volontariamente o involontariamente ai nostri figli. Per esempio, l’ottimismo e il coraggio sono importanti per vivere la vita al massimo e per cogliere tutte le opportunità, mentre il rispetto e la generosità sono indispensabili per una integrazione completa e soddisfacente nella società.

I dieci valori che ho scelto sono a mio avviso interconnessi, si collegano l’uno con
l’altro.
Ti starai chiedendo qual è il modo migliore per trasmettere i valori della vita a tuo
figlio. È molto semplice, dando il buon esempio! In questo articolo troverai degli
spunti su alcuni atteggiamenti pratici da adottare che potranno aiutarti a trasferire a
tuo figlio i valori principali per vivere una vita serena e appagante.

I 10 valori che puoi trasmettere attraverso il buon esempio:

1 Ottimismo

A mio parere l’ottimismo è uno dei valori più importanti da trasmettere ai figli,
semplicemente perché rappresenta la chiave per affrontare nel modo migliore le
difficoltà della vita
. Sapevi che l’ottimismo è contagioso? Quindi, se tu hai un
atteggiamento mentale positivo nei confronti degli eventi e delle persone, sicuramente tuo figlio sarà contagiato dal virus dell’ottimismo e avrà tantissime probabilità di essere una persona ottimista.

2 Pace

Essere una persona pacifica non significa che si debba essere per forza un individuo
passivo e non aver mai vissuto l’esperienza del litigio. Bisogna accettarlo, il litigio fa
parte della vita e non si dovrebbe mai insegnare ai bambini a soffocare i conflitti.
Trasmettere il valore della pace significa educare i bambini a risolvere i conflitti in
maniera non violenta
. Ricordalo sempre, la palestra migliore per far allenare i
bambini a litigare bene è la famiglia! Se in famiglia si litiga in maniera adeguata i
bambini sapranno risolvere pacificamente i conflitti con gli amici e quando saranno a
loro volta adulti sapranno risolvere eventuali conflitti con il partner e con i colleghi di
lavoro.

3 Rispetto

Il rispetto è uno dei valori fondamentali che farà di tuo figlio un individuo sensibile e
altruista. Rispettare gli altri significa saper convivere e sapersi relazionare
positivamente
. Il rispetto deve essere relativo, in primis, alle persone ma anche
all’ambiente in cui si vive. Oggigiorno si sente tanto parlare di educazione ambientale
e di riduzione dell’inquinamento. A tal proposito i genitori hanno il compito di
trasmettere ai propri figli la protezione verso il proprio ambiente. Se ad esempio i
bambini osservano i genitori che raccolgono la spazzatura in montagna dopo una gita,
se raccolgono i bicchieri e le bottiglie di plastica vuote dopo aver trascorso la
giornata in spiaggia, saranno propensi a ripetere quel tipo di atteggiamento corretto.

4 Onestà

L’onestà è quel valore che riguarda la trasparenza. Puoi insegnare a tuo figlio ad
essere trasparente per fare di lui un cittadino corretto. Ogni giorno puoi compiere
azioni che non danneggino gli altri, in modo che tuo figlio non incontri nella sua vita
la strada della delinquenza. È naturale che genitori che delinquono avranno
probabilmente futuri figli delinquenti. Per sviluppare l’onestà puoi incoraggiare tuo
figlio a dire e difendere la verità a tutti i costi, ad essere coerente nelle azioni, a non
cedere ad ingiustizie e ricatti.

5 Gratitudine

La gratitudine è quel valore che permette a tuo figlio di essere una persona
riconoscente
. Sapevi che la maggior parte delle persone di successo mette al primo
posto nella scala dei valori proprio il valore della gratitudine? Comincia tu a
ringraziare, ad apprezzare i favori che le altre persone ti fanno, ad essere grato per le
piccole o grandi cose che hai o che ti hanno donato
. Inizia ad essere consapevole
delle cose o parole buone che ricevi ogni giorno dagli altri. Un bambino grato sarà un
adulto felice, non darà niente per scontato, darà importanza a ciò che ha e non a ciò
che gli manca.

6 Coraggio

Il coraggio è quella capacità di affrontare le paure e le difficoltà che inevitabilmente
si presentano nel corso della crescita. Il coraggio è collegato alla responsabilità,
infatti per prendersi le responsabilità ci vuole sempre una buona dose di coraggio.

7 Collaborazione

Insegnare al proprio figlio il concetto di collaborazione è utile perché il bambino
quando sarà adulto si troverà nella condizione di imitare il comportamento dei
genitori e creerà una famiglia nella quale ci sarà la parità dei ruoli. Il messaggio
importante da trasmettere è questo: i compiti in una famiglia vanno sempre ripartiti in
quanto saper collaborare significa anche saper rispettare gli altri.

8 Generosità

Credo che la generosità sia uno dei valori più difficili da trasmettere nella società
odierna. Solitamente si dona qualcosa aspettando qualcos’altro in cambio, un
vantaggio o una ricompensa. Per fare in modo che tuo figlio sia generoso è
importante donare in modo incondizionato, condividere i cibi, offrire qualsiasi cosa alle persone che ci stanno intorno. La generosità migliora la vita dei bambini e in generale
rende più felici tutte le persone che hanno un animo generoso.

9 Responsabilità

I bambini che sono stati spinti ad essere responsabili, da adulti saranno sicuramente dotati non solo di autonomia ma anche di buon senso. Per rendere i bambini responsabili si possono assegnare loro piccoli compiti da svolgere in famiglia, si
possono coinvolgere e interpellare nelle decisioni familiari, dando loro voce in
capitolo, di conseguenza si sentiranno importanti e più responsabili perché trattati
come un adulto
.

10 Uguaglianza

L’uguaglianza è un valore che dovresti tener sempre presente nell’educazione di tuo
figlio. Sostengo questo perché ritengo sia fondamentale far comprendere a tuo figlio
che non può esistere la superiorità di qualcuno a discapito di un altro. Siamo persone
diverse nell’aspetto e nelle caratteristiche, ma siamo comunque sempre degli esseri
umani con la stessa dignità
. Con piccoli esempi puoi far capire a tuo figlio che
maschi e femmine sono profondamente diversi fisicamente gli uni dagli altri, ma devono essere uguali dal punto di vista dei diritti. Un altro esempio può essere
quello relativo al colore della pelle, quello delle diversità religiose, delle diversità di
pensiero in ambito politico. Un altro tasto su cui far leva potrebbe essere quello
relativo all’eliminazione delle differenze nel mondo del lavoro sensibilizzandoli sulla
questione “lavori da uomini e lavori da donne”
.

La lista completa dei valori è sicuramente lunga e ogni genitore ha i suoi preferiti. Qual è il valore più importante per te? Con quali azioni lo trasmetti a tuo figlio?

Immagine per gentile concessione di Stefania Scano.

canto-coro-Disneyland

Se ti stai chiedendo se il canto è l’attività ideale per tuo figlio, questa è l’intervista giusta per te. Il canto aiuta nello sviluppo generale dell’individuo, in particolare migliora le capacità emotive; la musica diventa educativa come precisa Celestina Maxia, insegnante di canto che da tanti anni si occupa di didattica musicale rivolta ai bambini. Nel coro i bambini imparano la condivisione, lo scambio interpersonale e il confronto. Inoltre Celestina ci svela i segreti delle sue lezioni e ci consiglia attività e giochi musicali per i nostri bambini. Buona lettura!

Quali benefici può apportare il canto nella formazione di un bambino?

La pratica musicale, stimola varie reazioni a livello cerebrale, che semplificando, si traducono nel miglioramento e potenziamento dello sviluppo generale del bambino. Il canto, in particolare, coinvolgendo anche la sfera del linguaggio, è sicuramente di grande aiuto nello sviluppo generale dell’individuo. Con la pratica musicale, si coinvolgono diverse parti del cervello, e laddove le attività sono diversificate in maniera opportuna, attraverso il canto, si migliorano le capacità emotive, per quello che riguarda per esempio il controllo della respirazione, maggiormente evidente se alla pratica del canto è affiancata una pratica strumentale o motoria semplice. Quando poi la pratica musicale è quella di gruppo, che personalmente ritengo ideale per il bambino, oltre ad essere fonte di benessere individuale per l’aspetto conviviale, nello stare insieme attraverso la musica si impara ad uniformarsi a movimenti e regole comuni, a dare il proprio apporto in relazione ad un progetto comune. La musica infatti impone per natura ritmi precisi, e praticata alla lunga, diventa educativa, imponendone il rispetto di questi.

A quanti anni si può cominciare a studiare canto?

Lo studio della musica, inteso come pratica convenzionale e apprendimento di nozioni, sicuramente richiede una maturità cognitiva al pari di qualsiasi altra disciplina. Quello che invece non ha limiti di età, per quello che riguarda il primo approccio, è un percorso formativo che miri allo sviluppo delle capacità percettive. Quando queste sono infatti ben sviluppate, lo studio della disciplina musicale, diventa solo una questione “tecnica”. Il canto è sicuramente il primissimo mezzo con cui ci si deve impratichire, essendo la voce lo “strumento musicale” che l’uomo ha già in sé! L’apprendimento della disciplina “musica”, poi, dipende sicuramente da come viene proposta: deve essere adeguata all’età del bambino, e quindi allo sviluppo intellettuale e fisico.

Quali tipi di attività musicali programmi a seconda della fascia di età dei tuoi allievi?

Le varie età dei miei allievi mi costringono a sperimentare sempre attività diversificate, anche se tante volte l’obiettivo è lo stesso. Le proposte cambiano nella scelta dei testi, e magari nella difficoltà anche in base al livello da cui partono. Penso sempre ad attività che li incuriosiscano, li coinvolgano, o addirittura li divertano. Cerco sempre di non avere punti fissi nelle mie lezioni, ma semmai “spunti fissi”, da sviluppare con loro, nel costruire le lezioni. Non è facile, per me, partire dalla giusta idea, ma una volta trovata, diventa tutto molto stimolante, anche per me.

Come si svolge una tua lezione?

La mia lezione ha diversi momenti e non sempre è uguale, nemmeno nello schema. C’è sempre un punto d’inizio in cui ci salutiamo; poi solitamente lascio a questo momento le attività più impegnative, per cui inserisco una nuova attività, che può essere un nuovo brano o una parte di esso da studiare. Poi passo ad attività più leggere, come un gioco musicale, un canto che a loro piace in modo particolare. Verso la fine della lezione, facciamo un ripasso di canti o attività particolarmente gradite al gruppo. La mia attenzione è che la fine della lezione deve arrivare inaspettata, devo sentirmi dire “abbiamo già finito?”; al contrario mi pongo delle domande se mi chiedono “quando finiamo, che ore sono…” Questo è segno che la lezione non era interessante!

Che benefici ci sono dal punto di vista pedagogico in una lezione corale? E i tuoi allievi come vivono l’esperienza corale?

Come accennavo prima, l’attività di gruppo, quindi anche quella corale, è il punto centrale del mio lavoro. Credo fermamente nel valore del lavoro collettivo, soprattutto per i bambini, dove la condivisione, lo scambio interpersonale, il confronto, sono alla base dello sviluppo individuale. La lezione frontale, ha sicuramente un valore importante per il rapporto con l’insegnante, con il quale si deve instaurare un rapporto più stretto, ma nel gruppo, si impara a stare insieme. Nel Coro, questo aspetto è uguale, ma rafforzato dalla necessità di porre la propria persona al servizio di un risultato ottimale comune. Dico sempre ai miei allievi che loro sono come i mattoni di un muro: dove uno non sta al suo posto, si vede il buco! Nel coro vige anche la regola della compensazione: loro sanno che ognuno di loro deve dare qualcosa, perché chi più chi meno, contribuisce al risultato finale! Spesso nasce e si sviluppa una certa competitività, che io cerco sempre di dirottare verso lo spirito di gruppo in cui ci si aiuta. A volte riesco, a volte no!

Che importanza dai alle rime e alle filastrocche per stimolare la sensibilità musicale nei bambini?

Rime e filastrocche, storie di ogni genere, sono alla base del mio lavoro, soprattutto con i più piccoli, ma fonte sempre utile anche per il lavoro con i più grandi. Il lavoro sulle sillabe, sugli accenti, di cui questo materiale è ricco, offre mille spunti per sviluppi di ogni genere, soprattutto in campo ritmico. E dove non trovo materiale pronto, cerco di produrlo da me, o con la collaborazione dei miei allievi.

Quali giochi ci consigli per incentivare i bambini all’ascolto dell’ambiente circostante e per insegnare loro a distinguere i suoni dai rumori?

La differenza tra suono e rumore, è un argomento controverso, che io evito, di solito nelle mie lezioni. C’è un coinvolgimento scientifico fisico, nella definizione di questa differenza che è sicuramente oltre che difficile, anche inutile ai fini didattici, pretendere di spiegarlo ai bambini. Spesso il rumore, viene descritto come qualcosa di “spiacevole” all’orecchio, al contrario del suono che non lo è. Ma questo “giudizio” non può essere obiettivo, in quanto non per tutti lo stesso tipo di “evento acustico” può essere spiacevole. Allora, onde evitare di incorrere in questi equivoci, preferisco fare la distinzione dei suoni in altri aspetti, per esempio, forti e deboli, lunghi e corti, acuti e gravi… Parto dall’osservazione di suoni comuni, come i versi degli animali, i suoni intorno all’ambiente… Faccio concentrare l’attenzione sul silenzio, ad esempio: ascolta cosa senti/ cosa di più, cosa di meno/ quale suono si interrompe e quale continua… Da lì a stendere una partitura di quello che si ascolta il passo è breve e lo sviluppo di un simile punto di partenza è infinito. Ci sono tanti giochi che mirano proprio all’esplorazione del mondo sonoro, e partono proprio tutti dall’ascolto e dalla catalogazione.

Qual è stata la più grande soddisfazione nella tua carriera come insegnante di canto?

La mia più grande soddisfazione a livello professionale come maestra di coro… non saprei… Dovrei pensare a momenti pieni di emozione nel corso dei miei quasi trent’anni di attività! Mi sono commossa tante volte durante le performance dei vari gruppi con i quali ho collaborato. Potrei elencarne tante e cambiare idea, sull’attribuzione del podio, tante volte. Forse mi fermerei sicuramente alla più recente, quella che mi ha dato enorme soddisfazione, è stato il risultato ottenuto nel 2019, quando con il coro ci siamo esibiti a Disneyland Paris. E’ stata una soddisfazione a 360 gradi, in quanto era coinvolta l’intera sfera personale che mi riguarda: quella professionale, quella emotiva e affettiva. Era infatti per me importante esibirmi su un palco Internazionale con il mio coro, dopo aver superato i provini, ma era importante farlo lì, in un posto che amo in modo speciale; era bello esserci con la mia famiglia, mia figlia sul palco con me ed ero felice di aver convinto le famiglie dei mie allievi a fare questa esperienza con me: avevo un desiderio profondo di condividere dal vivo con i miei bimbi, la bellezza magica di un luogo così perfetto per loro, dopo aver raccontato tante volte dei miei precedenti viaggi lì. Avevo promesso più volte “ un giorno vi ci porto…”. E al rientro, ho potuto affermare la mia felicità di averlo realizzato nel migliore dei modi, in quanto arricchita, anche dal meraviglioso legame umano che si è creato in quei quattro giorni, con le famiglie. La musica ci ha dato questa opportunità, e io attribuisco alla mia fortuna di aver scelto questa strada, diventata una professione, in modo quasi ignaro, visto che la scelsi per pura passione.


Celestina Maxia, ha studiato Organo e Composizione Organistica presso il Conservatorio di Cagliari. Dopo alcuni anni di attività come organista e insegnante di pianoforte, ha rivolto i suoi interessi verso la didattica vocale e la direzione di coro, specializzandosi in queste discipline con diversi affermati insegnanti. Diplomatasi nel 2003 in Didattica della Musica sempre presso lo stesso Conservatorio di Cagliari, ha intanto diretto alcuni cori sia di adulti che di bambini, in ambito privato e scolastico. Attualmente, oltre essere direttrice artistica e docente dell’Associazione Laetemur Musica, svolge attività didattica come insegnante di pianoforte per bambini e realizza progetti di propedeutica musicale presso le scuole, dedicandosi continuamente alla ricerca in campo didattico e producendo composizioni corali di vario utilizzo. A questo proposito nel 2014 è stata pubblicata la sua composizione “Matrimonio” (su testo di Gianni Rodari), nella raccolta “Giro Giro Canto”, che comprende le migliori composizioni contemporanee italiane per coro di voci bianche.

Ringrazio Celestina Maxia per aver risposto alle mie domande. Se vuoi contattarla per chiederle informazioni sulla sua scuola di canto:

Celestina Maxia
tel.3470656640
e.mail cele.max@tiscali.it
www.laetemurmusica.altervista.org

dislessia-scuola

Mio figlio è dislessico?

Perché oggi ci sono così tanti bambini dislessici? Si può guarire dalla dislessia?

Dopo una breve introduzione sul tema, risponderò in modo pratico a queste domande ricorrenti.

Una decina di anni fa la parola dislessia era pressoché sconosciuta. Al giorno d’oggi invece non si fa altro che parlare di dislessia, se non anche di discalculia, disgrafia e disortografia. Come docente lavoro ogni giorno con ragazzi che si trovano in questa condizione e percepisco il loro disorientamento e soprattutto quello dei genitori nei confronti di tali disturbi.

La dislessia è il più diffuso tra i disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e riguarda la lettura.

La sua diffusione crea molta confusione nei genitori che apprendono informazioni qua e là ma non conoscono esattamente il disturbo. Inoltre questi genitori non capiscono se i propri figli possano essere davvero dislessici e ogni giorno si fanno mille domande sul disturbo, dandosi a volte anche delle risposte sbagliate.

Domande frequenti che i genitori mi rivolgono sulla dislessia:

1 Perché oggi ci sono così tanti bambini dislessici? C’è un’epidemia?

La dislessia non rappresenta un disturbo nuovo e non c’è neppure un’epidemia di bambini dislessici semplicemente perché non è contagiosa! La dislessia esisteva anche in passato ma non veniva riconosciuta. Questo perché prima non erano stati fatti studi sul disturbo, per cui non c’erano le conoscenze in materia che invece ci sono oggi. Attualmente ci sono molti bambini dislessici perché il disturbo viene finalmente diagnosticato.

2 Già dalla prima elementare mi posso accorgere se mio figlio è dislessico?

Il disturbo non viene diagnosticato prima della fine della seconda classe della scuola primaria. Prima di questo periodo si possono notare delle avvisaglie (esempio: il bambino confonde alcune lettere mentre sta leggendo) ma non è possibile da parte degli esperti affermare con certezza la presenza del disturbo.

3 Si può guarire dalla dislessia?

A volte è capitato che qualche genitore mi raccontasse che alcuni bambini da grandi fossero guariti. Non è possibile! Dalla dislessia non si guarisce ma con l’andare del tempo si può migliorare. Quindi una persona dislessica sarà tale per tutta la vita, ma non è un dramma! Il fatto che non si guarisca da questa condizione non significa che l’individuo non possa trascorrere una vita normale, infatti risulta compromessa soltanto l’abilità della lettura e non altri tipi di abilità. Le persone dislessiche possono lavorare e ottenere anche ottimi risultati nell’ambito lavorativo. Sapevi che la scrittrice Agatha Christie era dislessica? E dell’attore Dustin Hoffman sapevi delle sue difficoltà? Anche lo scienziato Einstein, i pianisti Mozart e Beethoven, l’artista Walt Disney erano dislessici. Potrei farti un elenco lunghissimo di persone che seppur dislessiche sono riuscite a realizzarsi nella loro professione.

4 Mio figlio mi ha raccontato che i compagni con DSA fanno pochi compiti per casa, usano la calcolatrice… quindi i bambini dislessici sono avvantaggiati rispetto al resto della classe?

I bambini dislessici per legge hanno diritto a misure dispensative e strumenti compensativi (legge 170/10), quindi non partono avvantaggiati, partono semplicemente allo stesso livello dei compagni. Un supporto importante per l’apprendimento è rappresentato dalle mappe concettuali che gli studenti dislessici possono imparare a predisporre e consultare poi durante le verifiche.

E tu hai ancora qualche dubbio? Vorresti pormi delle domande?

Luogo nuovo, persone nuove, giochi e giocattoli nuovi. Che
evento eccezionale dovrà attraversare tuo figlio! L’inserimento
all’asilo è l’incubo di molti genitori.

Insieme analizzeremo alcuni aspetti da considerare prima di
effettuare l’inserimento al nido.

Aspetti da tenere conto prima di iniziare l’inserimento all’asilo:

1 I primi giorni passerai molto tempo all’asilo con tuo figlio.

La prima settimana di inizio anno scolastico fai in modo di
liberarti dagli impegni (soprattutto lavorativi) per affrontare
l’inserimento in maniera serena senza altri pensieri per la testa.

I primi giorni potrai giocare con tuo figlio al nido, osservare le
educatrici e gli altri bambini in modo da rassicurarti tu per prima.
È normale provare un pochino di ansia e paura, dopotutto stai
affidando tuo figlio a persone estranee e lo stai portando in un
ambiente sconosciuto.

Vivendo parte del tempo con queste persone e muovendoti nel
nuovo ambiente scoprirai che queste angosce spariranno
velocemente perché dopo qualche giorno tutto ti sembrerà più
familiare.

2 Il bambino ha bisogno dei suoi tempi per ambientarsi.

Evita di paragonare tuo figlio agli altri bambini. Sicuramente avrai
un’amica che ti avrà raccontato dell’inserimento velocissimo e
senza traumi di suo figlio!

Ti ricordo che non tutti i bambini sono uguali e che non tutti
reagiscono allo stesso modo. Alcuni non hanno problemi ad
inserirsi, altri necessitano di tempi più lunghi.

Perciò non abbatterti e non scoraggiarti se tuo figlio vive il tuo
distacco in maniera traumatica. Prima o poi si abituerà al nuovo
ambiente! È solo questione di tempo.

3 L’inserimento deve avvenire gradualmente.

Non avere fretta! L’inserimento all’asilo non può concludersi in
una giornata. Deve essere graduale e avvenire giorno per giorno in
modo tale che il bambino si possa abituare al nuovo ambiente.

Con il passare del tempo il bambino aumenterà la sua permanenza
al nido e tu comincerai ad andare via sempre prima. Tutto avverrà
in maniera naturale, senza forzature.

4 L’atteggiamento del genitore è fondamentale.

Il genitore dovrà tranquillizzare il bambino e stimolarlo nei
confronti delle novità. Se il bambino percepisce la tua insicurezza
e la tua preoccupazione non puoi pretendere che stia sereno e che
non pianga quando andrai via.
Dovrai invece trasmettergli positività e sicurezza. So che è
difficile, ma provaci!

5 Al nido lavorano figure professionali.

Ti ricordo che al nido troverai delle figure professionali che si
occuperanno di tuo figlio. Le educatrici hanno studiato e fatto
pratica per poter fare questo mestiere.
Affidati a loro, chiedi consigli, esprimi i tuoi dubbi e le tue
preoccupazioni. Prova ad avere fiducia nel personale e nella
struttura educativa che hai scelto.

Per un approfondimento ti consiglio di leggere un altro mio
articolo: come affrontare la separazione del bambino dalla madre.

bambine-giocano-puzzle

Il gioco del puzzle può essere un primo passo per aiutare il bambino ad affrontare attività impegnative e
scolastiche come gli esercizi di matematica. Oltre alle importanti motivazioni, in questo articolo elenco le
fasi tipiche del gioco da insegnare ai più piccoli.
Secondo uno studio dell’Università di Chicago  i bambini che giocano con i puzzle in età
prescolastica avranno più successo nelle materie scientifiche. Infatti il gioco del puzzle favorisce il
ragionamento, migliora la capacità logica e di intuizione e insegna le procedure per poter affrontare i
compiti.

Come tutti i compiti complessi anche il gioco del puzzle può essere scomposto in varie fasi:

1.Definizione dell’attività

L’adulto può mostrare al bambino come affrontare compiti difficili seguendo delle istruzioni. Egli
può agire e nel frattempo dire ad alta voce ciò che farà per completare il puzzle: “Lo scopo del
gioco è quello di riunire tutti i pezzi per ottenere l’immagine raffigurata sulla scatola.”

2.Capacità attentiva

L’adulto può continuare: “Ecco, starò attento nella scelta dei pezzi. Farò prima la cornice e poi
procederò con gli altri pezzi. Sceglierò quelli che hanno tonalità di colore simile, dopo aver
sistemato i pezzi in modo visibile sul tavolo.”

3.Provare e riprovare

L’adulto continua con il suo dialogo interiore: “Forse questo pezzo si assembla meglio con
quest’altro. Invece questo pezzo è sbagliato, proverò di nuovo.”

4.Concludere

“Ecco, sto finendo il puzzle nel modo giusto, mancano pochi pezzi.”
Molti bambini tendono a scoraggiarsi di fronte ad attività e compiti scolastici che richiedono impegno. Il
risultato è il più delle volte la resa e la rinuncia.

Ottenere buoni risultati nel gioco del puzzle aumenta la stima di sé. Questo gioco prevede che si debba
provare e riprovare per trovare i pezzi giusti che si incastrano. Incastrare i pezzi, montare e smontare è
un’attività utile per migliorare la capacità logica rappresentata dalla sequenza delle azioni compiute. È un
gioco di pazienza che si conclude soltanto insistendo. Insegna ai bambini che nella scuola e nella vita è
giusto provare e buttarsi nei compiti anche se non si è sicuri di raggiungere un buon risultato. Come altri
compiti complessi, anche gli esercizi di matematica sono spesso difficili, ma il bambino deve essere
consapevole che è meglio impegnarsi e non scoraggiarsi alla prima difficoltà.

 

Immagine per gentile concessione di Stefania Scano.

nonni, nipoti

“I giocattoli più semplici, quelli che anche il bambino più piccolo riesce ad usare, vengono chiamati nonni.” (Sam Levenson)

Chi sono i nonni? Se ci chiedessero di disegnare un nonno noi faremmo il ritratto di una persona anziana, con i capelli bianchi, con le rughe, con il bastone, insomma priva di forze.
Invece i nonni di oggi non sono così, sono giovanili e attivi. Di solito lavorano, viaggiano, praticano qualche sport, vanno a cena fuori e incontrano amici. Se non sono andati ancora in pensione dispongono di poco tempo, ma il tempo per i nipoti lo trovano sempre.

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